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A Roma al Teatro Millelire dal 30 ottobre all'11 novembre 2012

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Enza sempre in bianco

Dalla parte di chi rimane di Salvo Butera 

Un tempo c’erano le vedove di guerra. Si erano sposate con giovanotti che conoscevano appena, ma avevano tutta la vita davanti per amare i propri consorti. Anzi avrebbero avuto tutta la vita se non fosse sopravvenuta la guerra a scombinare tutto. I giovanotti partirono per il fronte, le mogli rimasero a casa ad attenderli, ma loro, novelli Godot, non tornarono più. E le mogli divennero vedove. Poi la guerra finì. E altri matrimoni si celebrarono. Ma il destino, beffardo, ha voluto riproporre una sofferenza simile alle donne. La stessa toccata in sorte a Enza, la protagonista della pièce teatrale scritta da Maria Teresa de Sanctis e da lei messa in scena, in forma di primo studio, il 23 novembre in uno spazio non teatrale, l’Atelier del Nuovo Montevergini di Palermo nell’ambito del Teatro Palermo Festival. “Enza sempre in bianco , questo il titolo del lavoro, è il monologo di una casalinga che vive intorno ai primi anni Ottanta in un paesino della Sicilia non precisato, magari vicino Palermo ma potrebbe essere qualsiasi paesino dell’Isola. La sua vita è cadenzata dal ritmo migratorio del marito, partito pochi mesi dopo il matrimonio per la Germania dove ad attenderlo c’era “un lavoro sicuro” e “in regola”: valori sempre di sicuro successo in Sicilia, ma ancora lontani dall’essere divenuti realtà. Questa chimera, che quindi solo in Germania si è potuta trasformare in un lavoro concreto per il marito di Enza, è diventata anche lo spartiacque tra il prima e il dopo della vita della povera casalinga. Da quel momento il suo tempo è cadenzato in funzione delle partenze e dei ritorni del marito emigrato; così non ci sono più quattro stagioni della durata di tre mesi ciascuna, ma solamente due: una lunghissima che dura tutto l’anno, una stagione di attesa, un sabato del villaggio perpetuo. L’altra è la stagione dell’arrivo del marito, della sua permanenza a casa, del suo stare accanto alla moglie. Stagione breve e che nel giro di pochi anni diventerà sempre meno intensa, con la donna che attende nell’alcova il marito, dopo aver respinto tutte le tentazioni (vere?) che si sono presentate durante la sua assenza. Ma proprio nel letto si insinua l’amarezza e il dubbio. Il marito vuole “riposare”, Enza (“sempre in bianco”) vorrebbe tutt’altro, ma nulla può contro la stanchezza del suo Gaspare. La cadenza di questo ritmo è spezzata, di tanto in tanto, dalle lettere che i due si scambiano, ma anche dai tentativi, sempre falliti per un motivo o per un altro, della partenza di Enza per la Germania, per andare a trovare il marito, per stare un po’ con lui. Tutto è sempre pronto, organizzato fino ai particolari, ma il fato non consente questo ricongiungimento. La Germania diventa un’Itaca immaginata e il viaggio di Enza un’Odissea mai avviata, ma a ruoli invertiti. La pièce si apre con la dolce e ingenua Enza con la valigia in mano: forse è la volta buona, potrà andare a trovare il suo Gaspare, stavolta sì. E pensa a tutto il tempo trascorso lontano dal suo amore, esprime i suoi sentimenti, i suoi “bollori” anche attraverso la musica, quella dell’epoca, ma con incursioni moderne, che sottolinea più delle parole lo stato d’animo della casalinga. Il marito “premuroso” ha scritto una lettera, che Enza leggerà solo alla fine, forse indicandogli il percorso da seguire, il luogo dove incontrarsi, oppure comunicandole la gioia che proverà nel rivederla. Nel frattempo lei è presa dai preparativi, prepara e si prepara all’incontro che nella sua mente prende la forma di un rito, come quelli pasquali che tuttora si celebrano nei paesi dove il Cristo risorto incontra la Madre al suono festoso delle bande. Forse non ci saranno le bande, ma saranno le corde del cuore a suonare a festa. Enza organizza, racconta, discute un po’ con sé stessa, un po’ con un interlocutore silenzioso (immaginario? Reale? È il pubblico?). Racconta l’invidia delle cugine per quel bel marito. Racconta il modo, il luogo e il tempo in cui si sono conosciuti. E anche quella sciagura del “lavoro buono e sicuro” che gli ha proposto un parente. Racconta tutto Enza, salendo e scendendo da una scala, in un sali e scendi di emozioni e di umori, pastiche di sentimenti che a volte fanno sorridere, altre ridere amaramente, altre ancora riflettere e stringere un po’ i pugni dalla rabbia. La cadenza musicale del monologo, accento siciliano un po’ paesano, un po’ di quartiere popolare che l’autrice e attrice Maria Teresa de Sanctis ha forgiato per costruire il personaggio, mantengono la pièce viva e vivace, così come le incursioni sonore. E tutto ciò proietta lo spettatore nella stessa ansia della protagonista per quella partenza tanto attesa, in una tensione ininterrotta verso il viaggio finale che condurrà Enza verso la verità. Sarà infatti la lettera, con le parole sgrammaticate scritte dal suo Gaspare, a rivelarle questa verità. Quella che ancora una volta palesa per Enza, fata ignorante, senza marito e senza felicità, l’ingiustizia di quell’esistenza votata alla solitudine.

Recensione per Anteprima al Palermo Teatro festiva scarica file
Menzione Speciale al Calati Festival 2008 scarica file


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