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la compagnia

Ma non solo parole ... recensione in fondo ...

Di un sorriso invadente
di Maria Teresa de Sanctis

Di un sorriso invadente si racconta
dall’anima nasce
il cuore riempie
e per i cieli conduce

ogni alba e tramonto
colora di nuovo
ogni gioia e dolore
riduce ad evento del tempo

ed eterno il momento
al quale ogni cosa protesa
si estende
nell’immenso divenire dell’essere.
                                                   
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Estasi
di Maria Teresa de Sanctis

Mentre danzo nel sogno che chiamiamo vita
un infinito mi avvolge;
ne intreccio i lembi
ed ecco la felicità!

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Accade
di Maria Teresa de Sanctis

Improvviso,
se giunge in un soffio,
ti tocca nel cuore e colpisce,
quel bagliore segreto,
tesoro dei puri,
faro della notte dei soli,
ed esplode
e ti prende,
quello è il segno:
come l’onda impetuosa
che tutto travolge e sconvolge
rapisce sensi e consensi
e seduce.

E quando,
con passo felpato,
il lume del senno ci lascia,
smarriti nei nostri sogni e pensieri,
segni e desideri di spine e di rose,
scopriamo il mondo reale
spiare le imprese del nostro sentire
e, in punta di piedi,
protesi nel presente che vola
nel futuro voluto,

ricchi di tanto di più,
più leggeri che invisi,
dall’alto del sogno,
reale o vissuto o finito,
sulle ali di un tempo per noi soltanto scandito,
finiamo.

E di colpo,
nell’immenso di un tutto esploso ed imploso,
in frantumi ma intatto,
ci destiamo nell’alba del nuovo
di un sogno
dal sapore di vero.

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Ballata del cuore in volo
di Maria Teresa de Sanctis

Quando ti accorgi come è la vita,
un treno in cerca di stazioni,
e l’amore rimbalza sulle pareti stinte di stanze piene di sogni
e l’aria si riempie di pensieri inquieti, senza posa e senza freno,
allora è il tempo di volare:

balza in groppa al tuo destriero,
cogli l’estro del momento,
fendi l’aria che ti prende
e del nuovo che non sai bevi il calice per intero
e và!

È il tempo che si rinnova,
il sipario è calato,
l’attesa conclusa stempera l’ansia,
l’ingegno si pasce beato
e bagliori improvvisi e profondi
illuminano il domani sospeso
e tutto pulsa, anche il cuore.

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Un altro mare
di Maria Teresa de Sanctis

E quando nell’orizzonte ti perdi
nel pensiero di un mondo nuovo ti ritrovi
per scoprire che nell’eternità dell’attimo tutto si ripete
e nell’anima ogni morte riporta alla vita
mentre di piccole luci si illumina un altro mare.


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Del viaggio
di Maria Teresa de Sanctis

Dal sogno arriva in silenzio
e seduce ogni intento in volo

e nell’estasi,
e caldo il sole dei mille soli avvolge del cuore ogni passione,
rapisce l’animo del viaggiatore,
che mai pago ma in eterno felice,
continua il cammino.

La meta, nel cuore e viaggia con lui,
nutre quell’animo e lo preserva dalle insidie dei falsi miti in agguato

e nella notte dei tempi
continua a brillare,
quale stella rara e preziosa,
ogni cuore vago e smarrito
nell’ansia del mondo reale.

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Dal fondo
di Maria Teresa de Sanctis

Tristezza,
bevi i miei sogni a sorsi
e fiotti di sangue
l’anima perde
e il cuore si spegne
e un’angoscia di fine,
fine dei tempi dei larghi sorrisi e garbate speranze
per tutto di un tutto di vita,
tutto travolge e trascina.

E sento le mura infinite
degli spessi spazi scoscesi e spinosi
pressare sull’ultimo dei miei soli infuocati,
e scarsi i calori si perdono nelle ombre del gelo immanente.

Allora capisco che esisto
e spiegate le ali,
da sempre rigenero sogni, celati e mai nati,
riesco ancora a volare nei mondi infiniti di dubbi e sospiri,
dove le anime sole,
quelle che nel buio dei tempi e dei cuori è lì che ancora erranti ritrovo,
dell’aria del vento che gonfia le vele alla volta degli oceani del tempo e non solo,
si pascono.

E nel conforto dell’estasi,
piccoli siamo ma enorme patimento ci tocca,
accetto gli inganni del cuore.
In quale morte più dolce,
se non mai pago di inebrianti illusioni,
può confidare lo spirito libero dei naviganti dell’arte?
E in questo mare io mi beo di annegare.


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Il viaggio
di Maria Teresa de Sanctis

                 Ma gravida la donna, quando gravida la donna rimane,
         che cosa la tiene vicina all’essere del ventre già suo,
         se non umane illusioni e altro, l’altro del sogno, dell’alto, dell’oltre,
         del dove? …
         … quel dove che illude …
         e annienta. 
         E annacqua.
                    E percezioni alterate, ingannate e ingannevoli e …
         Il viaggio.
                    E il viaggio al parto condusse.
         E il parto al sogno conduce.

                 Il viaggio: nel nulla, nel nulla del buio,
         nell’abisso dei sensi alterati,
                 nel gioco del vortice delle passioni,
         passioni sospese fra umane illusioni …
         e altro.         
                    L’altro del sogno, dell’alto, dell’oltre,
         del dove … quel dove che illude …
         e annienta. E annacqua.

                    La madre, la figlia,
                    e col viaggio si perpetua l’incontro,
         si rinnova l’incanto,
         l’incanto di vita, di morte, di fine, d’inizio,
         l’incanto del sogno nelle terre da sogno,
         nelle terre di mare e di antico.
                    E messi e raccolti di risa raccontano,
         di donne che nel tempo, nel dolore s’incontrano,
         dall’abbandono risorgono e la vita rinnovano
                    e altro.
                    L’altro del sogno, dell’alto, dell’oltre,
         del dove … quel dove che illude …
          e annienta. E annacqua.

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Deserti
di Maria Teresa de Sanctis

E se gli orizzonti, ridendo, si rivelassero all’ignaro viandante,
smarriti sogni e  speranze,
nessuno mai si abbandonerebbe all’estasi mirando e rimirando il mare
o dall’alto di un monte contemplando a valle i moti di cuori e desii

e quale deserto di anime l’infinito parrebbe
sì che persino i più ispirati sogni
rimarrebbero assopiti nel cuore

e quando il peso del vivere preme,
farfalle in balia di luci infide smarriamo ogni senso e motivo,
anche lì un deserto si mostra, ricco di misteri altrove svelati,
e un orizzonte pregno d’ignoto ci avvolge
e, suggendo la nostra linfa vitale, svela all’anima nuovi mondi e confini

allora al nuovo porgiamo l’orecchio
e nel soffrire del vivere scorgiamo la gioia del vissuto
e il ritmo sospinto e sospeso dell’alterna esistenza ci prende
e infine sapienti e leggeri voliamo ancora a rimirar l’infinito. 
 
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Se il mondo
di Maria Teresa de Sanctis

Se il mondo, ben stretto nel palmo di una mano,
mi facesse l’occhiolino
io l’ignorerei,

spirali di fuoco
nell’aria effervescente
di trepida solitudine,
persino i fiori neri dell’angoscia perenne vi imputridiscono,
son ben altra cosa

e poi dal mio giaciglio,
tana, covo, prigione, culla,
catena, sogno, vita
mi librerei in volo
e persone e non mondi cercherei.

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Sempre
di Maria Teresa de Sanctis

Custoditi dal suono del mare,
pigiano imperiosi

il bisogno di luce li rende arroganti
a nulla moniti di lacrime e dolenti paure giovano

amorfi ma belli
variegati e difformi
insulsi e profondi

cullano l’anima
lenendo pene infinite
con chimeriche fantasie

e infine chini,
grande è la devozione,
prostrati al potere dell’amore,
giacciono sinceri,
i sogni.

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Sole che scalda
di Maria Teresa de Sanctis

Sole che scalda
sole che brucia
sole che ride oltre gli sguardi
al di là dei colori
verso i tramonti, il cuore è ferito,
dopo le albe, e la speranza rimane,
tacendo dei sogni, smarriti per sempre,
e delle illusioni, nel nulla svanite,
e ovunque spargendo
le ceneri al vento,
di quello che è stato di una vita l’amore.

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Ecco quindi:

Intervento del critico letterario e giornalista Salvatore Ferlita
al reading – concerto di presentazione de

"Il prato e il pozzo"
racconti di Maria Teresa de Sanctis (ed. La Zisa, pp.64  euro 7)

svoltosi giovedì 7 maggio 2009 alle ore 19 a Palermo
al Caffé Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Vicolo della Neve all'Alloro, 2/5

letture a cura di Maria Teresa de Sanctis
musiche originali eseguite dal vivo dall'autore Ivan Cammarata (chitarra)


Salvatore Ferlita:
Devo dire innanzitutto che quando ho ricevuto la telefonata e la proposta della presentazione non conoscevo l’autrice, però mi ha subito investito una suggestione fortissima perché a chi ha pratica con la letteratura un cognome come de Sanctis non può che richiamare il grande storico della letteratura, quando poi  mi disse, Maria Teresa, che aveva avuto il mio numero da Francesco Gambaro, e allora si ricomponeva una sorta di costellazione che fa parte sia degli affetti che dei circuiti letterari. E allora quando poi alla fine mi ha detto che il libro in questione era una raccolta di racconti, e allora ho detto «va bè, non ho letto il libro ma ti do conferma che lo presento», perché il libro quando è fatto da una raccolta di racconti è sempre un libro particolare. Si dice che il genere non abbia parecchia fortuna, si dice che le raccolte di racconti in libreria vendono poco rispetto al genere romanzo, in realtà però va detto che in Italia non c’è stata mai una grandissima tradizione romanzesca, per cui i nostri autori hanno raggiunto le vette dell’eccellenza quando hanno scritto dei racconti perfetti. E sono sempre convinto che la sperimentazione vera in letteratura, dal punto di vista della prosa, la si possa fare appunto costruendo i racconti. Diceva Borges che il racconto in letteratura quando è perfetto è insuperabile, e definiva il romanzo una debolezza della carne. E aveva ragione perché un racconto intanto è sempre di difficile esecuzione, perché in realtà non ha né un inizio né una fine, è tutto lì, è come la prima pagina di un romanzo, deve subito cogliere il segno. E leggendo questi racconti di Maria Teresa mi è venuta in mente una definizione che del racconto diede uno scrittore italiano oggi fuori moda che si chiama Alberto Moravia, che di racconti se ne intendeva e che ne scrisse di bellissimi. Moravia in una sua pagina dice che nel racconto l’intreccio, che non ha mai il respiro di quello del romanzo, trae la sua complessità dalla vita e non dall’impianto. Ora cosa vuol dire: che se in un racconto c’è qualcosa che ci rimanda alla vita vera, e per vita vera intendiamo le passioni, i dolori, l’amore, allora il racconto funziona, ha una sorta di cuore pulsante. Ora in realtà non ci sarebbe granchè da dire perché Maria Teresa de Sanctis, nella sua breve ma significativa introduzione, spiega quello che poi ha fatto: « …ascolto quel che accade e basta questo per avere sempre qualcosa da raccontare, il punto poi è fermarsi e scriverne. E riportare nella scrittura ogni emozione e ogni pulsione del cuore che così rivive i suoi palpiti, diventa bisogno, urgenza. (…)  E con una prosa che sa di poesia quindi, col gusto per la parola cercata, inseguita e amata infine, si tenta disperatamente di ristabilire quell’armonia dell’esistenza che così spesso vediamo sparire fra le volute di una vita dal sapore sempre più amaro ». Tu hai fatto un po’ come ha fatto Umberto Saba, quando ha scritto le poesie che  hanno dato corpo al canzoniere e poi non fidandosi dei critici letterari ha scritto “Storia e cronistoria del canzoniere”, «adesso ve le spiego io le mie poesie». E qui tu dai un concentrato di poetica che poi leggendo i racconti viene perfettamente confermato.
Perché, intanto  dal punto di vista stilistico questi racconti presentano una tramatura che è deliziosa per l’orecchio; laddove il racconto funziona perché, in maniera anche spesso fulminea, sono a volte racconti brevi, tu riesci a cogliere un’emozione e poi a saperla riportare sulla pagina, allora si sprigiona anche una musicalità che è frutto sì di una sapienza stilistica, nel senso che c’è sempre un lavoro di cesello, di lima, uno cerca l’aggettivo giusto che possa accompagnare o precedere una parola, il tutto in un’armonia di suoni, ecc … però per far questo bisogna che ci sia da parte dell’autore l’orecchio per farlo. E questi racconti si devono gustare ad alta voce proprio perché le parole si inanellano in un circuito poetico e a volte ci si trova anche di fronte ad una sorta di corto circuito. Mi venivano in mente, leggendo i tuoi racconti, certe pagine di Silvio D’Arso, uno scrittore purtroppo poco noto e dimenticato della letteratura italiana, che scriveva racconti come se scrivesse poesie. A volte in una pagina di D’Arso tu puoi isolare il decasillabo, il dodecasillabo, e quindi leggendo la musicalità viene talmente fuori che poi il ritmo ti prende e il lettore rimane quasi, come potremmo dire, inchiodato alla pagina. Ed è quello che accade, io mi sono divertito anche a scomporre i racconti, perché ad un tratto allineate le parole diversamente sulla pagina potrebbero essere delle vere e proprie poesie. Ed un’altra cosa che vorrei dire, nella prefazione di Francesco Gambaro c’è una cosa che mi ha trovato d’accordo, una un po’ meno. Quando lui parla di coincidentia oppositorum, questa dualità, ha colto anche una delle cifre di questa raccolta : quando tu parli della vita non trascuri mai la sua negazione o presunta tale, che è la morte; se tu parli dell’amore c’è sempre l’odio minaccioso o che trionfa o che potrebbe trionfare e invece poi l’amore fa scattare un meccanismo per cui gli ingranaggi quasi impazziscono e inaspettatamente la storia prende una abbrivio diverso. C’è la fine di “Amor che amar par ci conceda”, che mi pare un endecasillabo perfetto, che dice « E la vita continua. Una danza, un abbraccio, un lento indolente roteare e come prima si attende. La fine che come l’alba arriva dopo ogni tramonto ». Ora l’immagine è molto bella, anche perché ha un che di paradossale e antifrastico: perché in questo caso la fine è come l’alba e di solito l’alba uno se la immagina sempre come momento piacevole. Ora leggendo attentamente, magari collazionando le pagine, ci si accorge che in realtà c’è sempre questa coincidentia oppositorum, ma soprattutto anche una sorta di straniamento per cui una situazione che sembra prendere una piega magari consueta ad un certo punto poi ti sorprende. La cosa che non mi trovava d’accordo scritta da Francesco riguarda l’idea della Sicilia. E questo è anche un altro punto a tuo favore, non ti sei lasciata  irretire dalla trappola della “sicilitudine”, potremmo dire, da questa ossessione di ricondurre tutto alla nostra latitudine, che poi è una latitudine geografica invasiva ed ossessiva. Ora qui di Sicilia c’è ben poco, e laddove si presenta nella pagina, non c’è mai il dazio pagato al luogo comune, e questa  è un’altra cosa che andrebbe rilevata, anche perché poi gran parte delle storie che racconti hanno uno scenario tragico, come quello della Jugoslavia. E si capisce poi che la violenza della guerra che ha sconvolto quei luoghi per te è stata una sorta di shock, per cui il “turista di guerra”  ha qualcosa sì di immaginifico, di fantasioso, ma anche di autobiografico, perché poi quando parli, attraveso la storia che racconti, di quei luoghi, è come se il lettore li rivedesse attraverso il filtro del tuo sguardo. E questo poi ci riconduce a quello che poi è  la cosa fondamentale in letteratura che sì … bello stile,  la parola anche poetica,  però sotto deve sempre starci il magma dell’esistenza, almeno sempre così io ho cercato di leggere i racconti e i romanzi. E quindi c’è questa Jugoslavia che è sventrata, stuprata dalla violenza, e però poi c’è sempre un qualcosa che si accende, può essere quasi una lanterna cieca, che di solito è l’amore che sembra poi trovare un palcoscenico inattendibile, visto che poi in guerra trionfa sempre la violenza cieca, l’orrore, ecc e però a prezzo di questo poi c’è tutt’altro … Sono belle anche certe immagini che tu utilizzi, ad esempio quando rifletti sul fiume e questo fiume che di solito nell’immaginario collettivo, ma anche nell’immaginario letterario, il fiume ha a che fare con il lavacro e il lavacro è sempre di purificazione, presuppone palingenesi.  Poi il fiume, basti pensare al panta rei filosofico, ti mette innanzi una situazione che cambia in continuazione, quindi lo scenario muta repentinamente, però nel momento in cui nel racconto viene fotografato, il fiume lo si vede come quasi invaso da quelle canoe, tu dici, con la forza visionaria dello sguardo, che potrebbero essere poi i corpi dei soldati, dei civili uccisi. Quindi questo fiume diventa una sorta di cimitero acquatico, continuamente mobile, e però poi il fiume può anche lasciar presupporre tutt’altro, cioè, la storia che continua, e quindi anche la possibilità che un’inattesa speranza, uno spiraglio utopistico possa cambiare la situazione. Ora, io penso che l’autrice abbia colto nel segno nella declinazione di questo mistero d’amore, perché i racconti potrebbero essere catalogati sotto l’emblema della fenomenologia dell’amore, che è una fenomenologia sempre variabile, proteiforme, che lascia a volte l’amore in bocca, e però poi, da quello che si percepisce leggendo, si tratta di un amore esperito con tutti i sensi. Lo dici tu in quella nota proemiale che ti colpisce un colore spesso e questi sono racconti che sono sì visivi ma anche olfattivi, perchè poi c’è la presenza del profumo, degli odori, è una scrittura quasi impressionistica, nel senso buono del termine, non nel senso peggiorativo. E poi ci sono epiche  che mi hanno sempre profondamente colpito: io ho visto sempre la forza della letteratura annidata in una sorta di carica antiumanistica, voglio dire laddove lo sguardo dell’autore riesce a cogliere il peggio, tutto il peggio possibile,  c’è anche una radiografia che poi ci riconduce a quella che è la nostra vita …quindi …Mi è sembrato di sentire echeggiare  Leopardi, ad un certo punto, quando nel racconto  “Salò o del lago” tu dici « La morte se lo portò via lasciando basita la madre davanti al tragico destino di quel suo povero figlio. Nelle notti di luna …»  e sappiamo quanto la luna sia presente nelle pagine di Leopardi che oltretutto aveva letto perfettamente Galilei « Nelle notti di luna piena anche il cielo intona un canto e, cingendo con vaporose nubi i monti, si specchia nel lago e un duetto ha inizio  …»: e qui sembra quasi la fotografia di un idillio, però ad un certo punto il capovolgimento  …. « Fra le molteplici voci notturne si ode l’eterno racconto della misera umana illusione » è un po’ lo scacco delle magnifiche sorti e progressive di cui parlava Leopardi. Un’ultima cosa che voglio dire è che mi aspettavo, da parte di chi ha un rapporto consustanziale col teatro, racconti costruiti sui dialoghi per esempio, cosa che qui non c’è, è una sorta di lungo monologo, possiamo dire, quello che poi dà forma ai racconti che poi, il paradosso è questo, allineati danno corpo ad una sorta di diario dell’anima .
E quindi la frammentarietà che poi è tipica di una raccolta di racconti, alla fine viene superata da una sorta di, possiamo dire, di visione, che uno sguardo … e non a caso c’è la presenza della finestra in uno dei racconti,   … che nella letteratura la finestra è stata sempre un filtro da cui osservare qualcosa … o anche una soglia superata la quale ci si trova innanzi ad un’epifania. In quel caso la finestra cercata, che poi non si trova, è distrutta, era come un affacciarsi sulla vita che però veniva in quel momento conculcata …insomma  devo dire che questa raccolta mi ha favorevolmente impressionato e vi ringrazio per la pazienza.


 

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